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La nuova disciplina dell'inferenza tra il fatto noto e quello presunto nel processo tributario

Dott. Francesco De Simone

Processo Tributario

Il comunicato stampa congiunto del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della giustizia del 9 agosto 2022, annunciando l'approvazione della riforma del processo tributario di cui alla legge 31 agosto 2022, n. 130, ne evidenziava il fine: «La riforma rende la giustizia tributaria conforme ai principi del giusto processo e contribuisce a sostenere l'intero sistema Paese in termini di competitività e richiamo degli investitori esteri». Le più importanti modifiche al processo tributario che realizzano tale fine appaiono essere l'introduzione della prova storica della testimonianza e, principalmente, il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che disciplina le prove del processo tributario. Precedentemente tale decreto prevedeva solo l'esclusione della prova testimoniale e del giuramento, per il resto la prova era regolata dalle norme dell'ordinamento.

Il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, norma processuale da applicarsi dal 16 settembre 2022, recita: «L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».

Limitando l'analisi al primo periodo della norma, si osserva che il legislatore con tale comma impone un filtro che esclude dal processo tributario le prove che non dimostrino il fatto, previsto dalle norme sostanziali tributarie, con un elevato grado di accadimento. Il legislatore non menziona il tipo di prova (diretta, storica o con presunzioni) da utilizzare per la dimostrazione di tale fatto, ma prevede che qualunque prova abbia dei requisiti minimi: non deve essere «contraddittoria» e deve dimostrare «in modo circostanziato e puntuale ... le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni». Tra i fatti che soddisfano le regole del comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 vi sono quelli dimostrati con la prova diretta e con la prova storica, detta anche rappresentativa. Gli altri fatti che soddisfano le regole del comma 5-bis sono il fatto notorio e quello vicino alla parte non specificamente contestato ex art. 115 c.p.c. e i fatti previsti dalle presunzioni legali.

Il comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, sembra avere, invece, un impatto notevole sul fatto dimostrato con presunzioni semplici. Va premesso che per le presunzioni semplici previste dall'ordinamento non vi sono norme che chiariscano il significato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza o norme che ne governino l'applicazione, e il grado di inferenza richiesto tra fatto noto e presunto è stato sino ad ora demandato ai giudici. Il legislatore con il comma 5-bis, per alcuni versi, conferma ed esplicita i requisiti della presunzione semplice nel processo tributario e, per altri, innova disciplinando l'inferenza tra fatto noto e presunto, riducendo lo spazio di interpretazione dei giudici tributari:

  • conferma ed esplicita detti requisiti, prevedendo che la prova non debba essere «contraddittoria» (che debba essere «concordante») e che debba dimostrare le ragioni «in modo circostanziato e puntuale» (similmente a "grave" e "precisa");
  • disciplina l'inferenza tra fatto noto e presunto quando dispone che la prova debba dimostrare «le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni».

Il legislatore, prevedendo che la prova dimostri le ragioni oggettive, e non solo le ragioni, impone una stretta e immediata correlazione tra il fatto noto e il fatto presunto che genera l'obbligazione tributaria o la sanzione. Ne consegue che tra il fatto noto e quello presunto debba sussistere un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale (legame oggettivo). Vale a dire che nel processo tributario l'inferenza non può essere supportata da elementi probabilistici e il fatto da provare non può essere presunto dal fatto noto come sola conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità. Si può sostenere che le norme dell'ordinamento che prevedono la prova con presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, comprese le presunzioni procedimentali, quando applicate nel processo tributario, sono integrate dal legislatore che per tale processo ne ha disciplinato l'inferenza. Permane il contrasto tra le presunzioni procedimentali e.cl. semplicissime e il comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992. Si osserva, a tal fine, come secondo tale comma il giudice debba accertare se l'atto impositivo sia coerente con la sola normativa tributaria sostanziale (e non con la normativa tributaria procedimentale), talché il giudice deve accer­ tare se la pretesa tributaria rispetti la fattispecie imponibile normativamente prevista, le norme positive e, cioè, deve accertare se l'ente impositore abbia dimostrato gli elementi essenziali e necessari che determinano l'obbligazione tributaria previsti dalle sole norme sostanziali.

L'espresso riferimento alla sola normativa sostanziale conferma che qualunque prova debba superare il filtro del comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, anche nel caso in cui vi siano norme procedimentali che consentono all'ente impositore l'utilizzo di presunzioni e.cl. semplicissime e nel processo tributario, in ogni caso, l'ente impositore dovrà provare il fatto con l'inferenza richiesta dal comma 5-bis. Tra le ragioni che hanno indotto il legislatore alla modifica delle norme processuali tributarie in tal senso potrebbe esserci, da un lato, la considerazione che l'ente impositore possieda ampi, efficaci e incisivi poteri per l'accertamento, in continua implementazione, e per la riscossione, ed è dotato di apposite strutture, e che tali poteri sono ammessi poiché l'ente impositore li eserci­ terà in modo imparziale (art. 97, secondo comma, Cost.). Dall'altro lato, la volontà del legislatore: di pervenire sempre all'effettiva e precisa capacità contributiva (misurata dalle norme sostanziali) e non oltre; di vietare l'inversione dell'onere della prova, vietando nel contempo che il processo tributario sia di tipo inquisitorio, dove il contribuente deve provare una minore obbligazione tributaria rispetto a quella non dimostrata dall'ente impositore; di rendere effettivo il principio del giusto processo in campo tributario; di ridurre il contenzioso tributario, poiché un atto impositivo che già dimostri con un alto grado di certezza la violazione delle norme tributarie sostanziali generalmente non sarà impugnato, e, se tale certezza mancasse, non sarà emesso.

Il comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 è un ef-fìcace strumento per realizzare tutto ciò, compreso il controllo sull'agire imparziale della pubblica Amministrazione, poiché avverrà che se l'ente impositore, nonostante tali poteri, non proverà in modo incontrovertibile la violazione di norme tributarie sostanziali, il contenzioso tributario si risolverà, anche nel dubbio, a favore del contribuente. In sintesi, il comma 5-bis aumenta la fiducia dei contribuenti nelle istituzioni e degli investitori stranieri nell'Italia, consapevoli che l'imposizione fiscale sarà pari all'effettiva capacità contributiva, nel caso, dimostrata in un giusto processo, dando impulso all'economia del Paese, con conseguenti nuove entrate tributarie.

La novella appare anche un rimedio del legisla­ tore alla circostanza che nel processo tributario alcune volte un fatto è considerato provato con presunzioni semplici, passibili di prova contraria, mentre in concreto si attua un'inversione dell'onere della prova, alcune volte diabolica, per non dire impossibile, in capo al contribuente.

Ad esempio, la presunzione giurisprudenziale che ritiene distribuito il maggiore utile accertato in proporzione tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa è una presunzione non grave né concordante con altre massime di esperienza poiché, alla massima di esperienza che vuole che il maggior utile sia stato distribuito in proporzione tra i soci, si contrappongono le massime di esperienza discordanti di pari grado, che vogliono che il maggior utile sia stato riscosso dall'amministratore infedele, o solo da alcuni soci, o trattenuto dalla società, rimanendo alcuni soci ignari di tale maggior utile. La presunzione non è, quindi, precisa e grave, poiché non è ragionevole ritenere che il fatto (la distribuzione proporzionale dell'utile) sia quello accaduto con il più alto grado di probabilità. Il socio che non abbia riscosso l'utile deve dimostrare l'assenza di tale distribuzione e deve fornire una prova contraria impossibile, non essendo dimostrabile ciò che non esiste. Considerando anche che gli unici fatti noti sono la ristretta compagine sociale e il maggior utile (sempre che non sia a sua volta presunto, e sorvolando sul divieto di presumere un fatto da un altro a sua volta presunto) le massime di esperienza contrarie sono già state implicitamente disattese; il socio non ha poteri per indagare sulle risultanze finanziarie degli altri soci, dell'amministratore o sulle risultanze finanziarie della società che non transitano nei registri sociali, al fine di dimostrare la riscossione dell'utile solo da parte dell'amministratore o di alcuni soci o che sia stato trattenuto dalla società. Chiara la sfiducia nelle istituzioni del socio che non abbia riscosso l'utile, il quale deve corrispondere imposte non dovute secondo la norma sostanziale (art. 45 del TUIR). Per il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 il giudice dovrà ora accertare se si sia verificato il presupposto impositivo stabilito dalla norma sostanziale e, cioè, accertare se siano state dimostrate in giudizio, con prove non contraddittorie, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive per le quali l'ente impositore sostiene che quel socio abbia percepito un utile non dichiarato.

Un altro esempio è dato dalla circostanza che la giurisprudenza sostiene che ai fini IMU il valore venale delle aree fabbricabili, stabilito con delibera della giunta comunale, sia dimostrabile con una presunzione semplice, passibile di prova contraria. Ciò avviene indipendentemente dal fatto:

  • che la delibera della giunta comunale sia supportata da documenti che dimostrino il valore venale previsto dalla norma sostanziale, essendo esso quello venale in comune commercio avendo riguardo alle caratteristiche dell'area fabbricabile, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione e ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (art. 1, comma 746, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, già art. 5, quinto comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504);
  • che la delibera della giunta comunale stabilisca semplicemente i valori venali, o faccia genericamente riferimento: ai valori di mercato; ai valori di aree con analoghe caratteristiche; agli oneri di adattamento del terreno, senza indicare, però, gli atti e i prezzi di trasferimento delle aree fabbricabili con analoghe caratteristiche e il valore degli oneri di adattamento considerato nella determinazione del valore venale.

Nel secondo caso, non si è in presenza di una presunzione semplice, ma solo di un valore venale (imponibile IMU) stabilito dallo stesso ente locale cui compete l'imposta, tra l'altro, in violazione degli artt. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e 149, terzo comma, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali), che vietano agli enti locali l'individuazione e la definizione delle fattispecie imponibili. Ciò nonostante, è onere del contribuente provare l'inidoneità del valore stabilito dalle delibere comunali a rappresentare quello della propria area, o provare un valore minore di quello stabilito dalle delibere, realizzandosi un'inversione dell'onere della prova. Per effetto del più volte citato comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 il giudice dovrà ora accertare se l'ente locale abbia dimostrato il presupposto impositivo stabilito dalla norma sostanziale e, cioè, accertare se tale ente abbia dimostrato e considerato le caratteristiche della specifica area; abbia dimostrato i prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche; abbia considerato congrui oneri per i lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione quali elementi di valutazione al ribasso del valore. Per le aree fabbricabili che ricadono nei comparti non lottizzati, come tali soggette al vincolo urbanistico della inedificabilità sino alla lottizzazione del comparto, il giudice dovrà accertare se l'ente locale abbia applicato anche il metodo di valutazione stabilito dall'ordinanza della Corte Costituzionale n. 41 del 2008, che, per tali aree con potenzialità edificatoria non attuale, ha adattato la norma sostanziale al principio di capacità contributiva.

Fonte: Rivista Bollettino Tributario d’informazioni n. 19 del 15.10.2022

Dott. Francesco De Simone

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