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La strategia europea per il contrasto alle frodi IVA

prof. Nicola Galleani d’Agliano

Iva e Dogane

L’istituzione della Procura europea (EPPO) è un altro tassello della strategia degli Stati membri per contrastare il fenomeno delle frodi, in particolare nel settore dell’IVA.

Questo fenomeno ha raggiunto delle dimensioni preoccupanti sia per il danno alle entrate fiscali dell’erario, che per l’incertezza che colpisce le aziende che operano a livello intraunionale. Così, da diversi anni, il tema del contrasto alle frodi IVA è al centro dell’agenda politica dell’Unione Europea, anche se i metodi che sono stati utilizzati sino ad oggi si sono rivelati di scarsa efficacia. Da un lato, gli Stati membri perseguono la politica di rafforzamento degli strumenti di indagine, mentre dall’altro lato la Corte di Giustizia pone l’accento sul coinvolgimento degli operatori economici. Questa dicotomia comporta elevati rischi per le aziende commerciali che si vedono, loro malgrado, coinvolte nella responsabilità per le frodi commesse da altri operatori.

Le frodi nel settore dell’IVA Le frodi più rilevanti nel settore IVA derivano principalmente dalle operazioni intraunionali. A partire dal 1993, con l’introduzione del regime cosiddetto transitorio degli scambi intracomunitari, hanno cominciato ad apparire a livello europeo le frodi transfrontaliere, rese possibili dalle nuove modalità di assolvimento dell’imposta sugli acquisti. Infatti, per queste operazioni, gli operatori non devono più versare l’imposta all’importazione in dogana ma assolvono il tributo con il meccanismo di autoliquidazione dell’imposta. Questa impostazione ha facilitato lo sviluppo di frodi basate sull’utilizzo di società che hanno il solo scopo di inserirsi all’interno di una catena di transazioni, acquistando dei beni senza pagare l’IVA e dall’altra parte rivendere gli stessi beni applicando l’IVA nei confronti dei clienti finali. Queste società, in seguito, non versano l’imposta incassata dal cliente costituendo così i cosiddetti missing trader. Il fenomeno si è acuito a partire dal 2010 con la modifica alle regole riguardanti il luogo di effettuazione delle prestazioni di servizi che, unitamente ad una progressiva internazionalizzazione delle transazioni, ha permesso ai frodatori di sfruttare lo schema MTIC1 anche per le prestazioni di servizi.

Questo schema di frode può essere ulteriormente ampliato a tutte le operazioni (anche nazionali) in cui il soggetto intermedio “B” non è tenuto a corrispondere l’IVA sulle acquisizioni di beni e servizi, mentre a valle applica e riscuote l’IVA nella misura ordinaria. L’elemento che strutturalmente rende possibile il realizzarsi di queste fattispecie, oltre ai regimi di esenzione IVA, è costituto dalla qualificazione quale soggetto passivo dell’operatore intermedio (missing trader). Esso, infatti, si qualifica come tale fornendo alla propria controparte la propria partita IVA che rappresenta negli scambi internazionali l’unico elemento di carattere oggettivo che possa evidenziare lo status di soggetto passivo4. È ben vero che l’art. 138 della Direttiva 2006/112 e la norma nazionale di recepimento (art. 41 del D.L. n. 331/1993) prevedono che l’esenzione si applichi alle cessioni effettuate nei confronti di “un altro soggetto passivo” intendendosi per tale colui che, ai sensi dell’articolo 9 della Direttiva, esercita una attività economica, tuttavia occorre partire dal presupposto che il cedente o prestatore non ha alcuna possibilità concreta di verificare l’effettivo svolgimento di reale e concreta attività del proprio cliente. Al riguardo, la Corte di Giustizia nella causa C-273/11, Mecsek-Gabona Kft, aveva affrontato il tema del rapporto tra soggettività passiva e partita IVA, osservando che: “[…] Dal momento che l’obbligo di verificare la qualità del soggetto passivo incombe all’autorità nazionale competente prima che quest’ultima attribuisca a tale soggetto un numero d’identificazione IVA, un’eventuale irregolarità relativa a detto registro non può comportare che un operatore, il quale si sia basato sui dati figuranti nel registro, sia escluso dall’esenzione della quale avrebbe diritto di beneficiare”.

Questo principio era già stato recepito dal Regolamento di attuazione 282/2011 per i servizi il cui luogo di tassazione è determinato sulla base della qualifica soggettiva del cliente ove, all’art. 18, si prevede che: “Salvo che disponga di informazioni contrarie, il prestatore può considerare che un destinatario stabilito nella Comunità ha lo status di soggetto passivo […] se il destinatario gli ha comunicato il proprio numero individuale di identificazione IVA […]”.

Tuttavia, non può sfuggire che questa presunzione, seppure relativa, di soggettività passiva si basa sulla errata assunzione che gli Stati membri possano verificare, prima della attribuzione di una partita IVA, che il soggetto svolga effettivamente una attività economica. Allo stesso tempo, è puramente utopico porre a carico dei fornitori l’onere di verificare l’attività esercitata dai propri clienti. In conclusione, è agevole osservare che in questo modo si è consentito a soggetti che di passivo hanno solo il nome, di operare indisturbati nelle transazioni transfrontaliere e di scomparire senza lasciare traccia.

Il contrasto alle frodi secondo la Corte di Giustizia e il rischio di coinvolgimento degli operatori economici

La Corte di Giustizia, sulla base della premessa che nessuno può invocare il diritto unionale e, in particolare, le disposizioni contenute nella Direttiva IVA per scopi contrari alla stessa, ha posto il tema del contrasto alle frodi in primo piano. Partendo dal presupposto che la Direttiva non contiene disposizioni specifiche in materia di contrasto alle frodi, la Corte ha, progressivamente, ricostruito una disciplina ad hoc sulla scorta dei principi di carattere generale. Se, da un lato, ha confermato che gli operatori economici devono poter operare nella certezza che le scelte da essi operate al momento in cui le transazioni vengono effettuate non siano rimesse in discussione, dall’altro lato, viene posto l’accento sul principio di buona fede. Secondo questo principio, l’operatore economico che opera a valle (quale acquirente) o a monte (quale cedente o prestatore) è tenuto a adottare tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale.

In particolare, secondo i giudici: “Qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”.

Tuttavia, l’Amministrazione fiscale non può imporre all’operatore l’obbligo di effettuare dei controlli complessi e approfonditi relativi alla sua controparte poiché questi spettano unicamente all’erario.

In conclusione, ciò significa che l’operatore economico anche se non ha preso parte attivamente nella frode, ovvero non ha tratto alcun vantaggio economico dalla stessa, può essere comunque coinvolto se non ha assunto un atteggiamento sufficientemente prudente nel valutare l’affidabilità del proprio cliente. Fermo restando che non è possibile predeterminare in maniera oggettiva le verifiche a cui gli operatori sono tenuti, poiché la loro portata ed ampiezza deve essere valutata con riferimento al singolo caso e, dunque, sarebbe opportuno che venissero adottate, in via regolamentare, delle linee guida alle quali i soggetti possono fare riferimento.

La strategia della Commissione europea

La strategia della Commissione, riassunta nella 32° relazione annuale al Parlamento europeo sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea e sulla lotta contro la frode di recente pubblicazione8, punta essenzialmente sul miglioramento della cooperazione fra le Amministrazioni finanziarie degli Stati membri. La Commissione ritiene, infatti, che non si possano addossare agli operatori economici dei compiti di controllo e verifica delle controparti che spettano al fisco, poiché un tale sistema di controllo espone gli operatori a delle incertezze riguardo alla determinazione dell’IVA che nuoce alla realizzazione del mercato unico. Per tale motivo, il Regolamento 282/2011, anziché recepire i principi della Corte di Giustizia, ha invece introdotto delle presunzioni a tutela delle imprese. Ciò comporta una distonia tra i principi fissati dalla giurisprudenza e il legislatore europeo che rende meno efficace il contrasto alle frodi. A partire dal mese di ottobre del 2018 è stata introdotta una serie di modifiche alle disposizioni riguardanti la cooperazione fra gli Stati membri, rafforzando gli strumenti esistenti con il coordinamento della Commissione europea.

In particolare, sono state introdotte o modificate le seguenti le seguenti disposizioni:

• Regolamento UE 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa;

• Direttiva UE 2010/24 relativa alla mutua assistenza per il recupero delle imposte dovute;

• Regolamento UE Euratom 883/2013 che regolamenta l’attività svolta dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF);

• Direttiva UE 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode mediante il diritto penale;

• Regolamento UE 2017/1939 relativo alla istituzione della Procura europea (EPPO).

Cooperazione amministrativa

La cooperazione tra gli Stati membri si basa sulla raccolta e messa a disposizione di informazioni riguardanti soggetti o singole operazioni presso le Amministrazioni fiscali degli altri Stati. Trattandosi, infatti, di operazioni di carattere transfrontaliero le attività di accertamento svolte in un singolo Stato necessitano di informazioni sulle controparti commerciali (ad esempio, sulla effettiva esistenza di un fornitore o di un cliente).

Il Regolamento 904/2010 prevede l’obbligo di ciascun Stato membro di fornire, a richiesta di un altro Stato, delle informazioni sui propri contribuenti. L’art. 7, oltre a prevedere la messa a disposizione di informazioni che sono già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, prevede anche l’obbligo, se necessario, di effettuare degli accessi presso i propri contribuenti per acquisire le informazioni richieste dall’altro Stato.

Con l’accordo di entrambi gli Stati, è prevista la possibilità che le indagini vengano effettuate con la presenza dei funzionari dello Stato richiedente. Gli artt. 28 e 29 definiscono le modalità ed i casi in cui le indagini congiunte possono avvenire. Oltre allo scambio di informazioni su specifica richiesta, il Regolamento prevede che i singoli Stati membri mettano a disposizione dati e informazioni riguardanti specifiche tipologie di operazioni. L’elenco delle informazioni è contenuto nell’art. 17.

Infine, è stata istituita la rete denominata Eurofisc, a cui partecipano i funzionari specializzati di ciascun Stato membro per lo scambio rapido di informazioni mirate tra Stati membri sulle frodi esistenti nonché sulla emersione di nuove forme di evasione. Lo scopo è di scambiare fra gli Stati le informazioni disponibili in maniera coordinata e rapida, in modo che sia possibile agire con rapidità ed efficacia. Per velocizzare il trattamento e l’analisi congiunta dei dati, attualmente la Commissione ha introdotto una piattaforma informatica denominata TNA (Transaction network analysis, analisi della rete delle operazioni).

Al fine di massimizzare la capacità del software di individuare reti fraudolente in tutta l’UE, il Regolamento UE 904/2010 modificato chiarisce la disposizione riguardante il trattamento e l’analisi congiunta dei dati nel quadro di Eurofisc. La partecipazione a tale attività di trattamento e analisi resta volontaria, ma gli Stati membri devono concedere ai funzionari di Eurofisc l’accesso ai dati del proprio sistema di scambio di informazioni sull’IVA (VIES) in relazione alle operazioni all’interno dell’Unione attraverso il TNA, affinché sia possibile individuare potenziali reti di frodi, comprese quelle che coinvolgono operatori commerciali stabiliti in Stati membri non partecipanti.

Infine, il Regolamento prevede il coordinamento tra le diverse istituzioni (Eurofisc, Europol, OLAF e ora anche la Procura europea) in modo da scambiare fra di loro informazioni aggiornate sulle tendenze, sui rischi e sui casi gravi di frode in materia di IVA ai fini del controllo incrociato con i loro dati. La cooperazione consente il controllo incrociato delle informazioni di Eurofisc con i casellari giudiziari, le banche dati e altre informazioni detenute dall’OLAF e da Europol per identificare i veri autori delle frodi e le loro reti.

Un ulteriore strumento di supporto alle attività di contrasto è costituito dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) istituito nell’ambito della Commissione europea con Decisione n. 352 del 28 aprile 1999. È formato da funzionari della Commissione e agisce quale organo verificatore nell’ambito delle materie di sua competenza, tra cui le entrate fiscali proprie dell’Unione. In questo ambito ha operato principalmente nel settore doganale, anche se le sue competenze si estendono anche all’IVA e in particolare alle frodi transfrontaliere.

L’OLAF fornisce le informazioni riguardanti le frodi nel settore doganale ed in particolare quelle che sono strettamente connesse con l’IVA, quali la sottovalutazione del valore delle merci e l’abuso di regimi doganali particolari come nel caso del regime CP42.

Il rafforzamento degli strumenti in campo penale

Gli strumenti di cooperazione internazionale, principalmente contenuti nel Regolamento 904/2010, si sono rivelati inefficienti sia perché non in grado di contrastare o di prevenire le frodi ma anche perché si è rivelato difficoltoso lo scambio di informazioni fra gli Stati membri. In sostanza, il solo scambio di informazioni, anche se effettuato su richiesta non ha l’efficacia e la forza delle indagini svolte con gli strumenti tipici del diritto penale. L’esperienza pratica ha dimostrato che le informazioni trasmesse dai singoli Stati sono troppo superficiali e si limitano, nella maggior parte dei casi, a riscontri di carattere contabile. La Commissione ha, dunque, avviato un programma di riforma che prevede, di fatto, l’istituzione o il rafforzamento di organi di controllo e di indagine centralizzati a livello europeo.

L’approvazione della Direttiva 1371/2017, denominata PIF (Protezione interessi finanziari), che prevede l’obbligo per gli Stati membri di introdurre delle disposizioni nel settore penale efficaci per il contrasto alle frodi riguardanti il bilancio dell’Unione12, è stato il punto di partenza per consentire l’introduzione di una forma di stretta cooperazione tra gli organi inquirenti dei singoli Stati. La Commissione, già nel 2013, aveva presentato una proposta di istituzione di una Procura europea ma non ha, tuttavia, ottenuto il consenso unanime degli Stati membri.

Nel 2017 la Commissione ha dovuto prendere atto del fallimento di questa iniziativa, rispetto alla quale alcuni Stati membri hanno mostrato uno scarso interesse. Fra questi la Danimarca ha dichiarato apertamente di essere contraria a qualsiasi strumento legislativo unionale che introduca delle norme che possano interferire con il proprio ordinamento penale. Ciò nonostante, un gruppo di Paesi ha notificato al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione l’intenzione di instaurare una cooperazione rafforzata ai sensi dell’art. 86, par. 1, comma 3, del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), progressivamente anche altri Paesi, tra cui l’Italia, hanno dichiarato di voler aderire a questa iniziativa.

Con il Regolamento 1939 del 12 ottobre 2017 il Consiglio ha adottato le disposizioni necessarie per l’istituzione e il funzionamento della Procura europea. Poiché lo strumento è stato adottato in base all’art. 328, par. 1, TFUE e la partecipazione dei singoli stai avviene su base volontaria, il Regolamento è obbligatorio ed è direttamente applicabile solo negli Stati membri che hanno dichiarato di aderirvi. Ciò costituisce un limite alla sua efficacia e, per tale motivo, la Commissione e il Parlamento europeo stanno promuovendo la sua estensione anche agli altri Stati dell’Unione.

Fermo restando che solo le autorità nazionali hanno il potere di esercitare concretamente l’azione penale entro i propri confini, il contrasto alle frodi di rilevante entità, proprio per la loro natura transfrontaliera necessita di una attività di indagine che sia in grado di raccogliere elementi probatori anche in più Stati diversi. Inoltre, la complessità delle operazioni realizzate dagli operatori, richiede delle competenze specifiche nella materia oggetto di indagine. Per quanto riguarda gli organismi UE esistenti come Eurojust, Europol e OLAF, pur non avendo i poteri necessari per svolgere indagini e procedimenti penali, essi possono contribuire ad acquisire competenze e informazioni. A questo scopo, sia il Regolamento istitutivo dell’EPPO che il Regolamento 904/2010 contengono delle disposizioni riguardanti la cooperazione fra i diversi organi. Più precisamente, l’EPPO è una Procura indipendente e decentralizzata dell’UE e svolge tutte le attività che sono normalmente affidate alle procure nazionali: coordina le indagini, esercita l’azione penale e rappresenta l’accusa in giudizio sino alla conclusione dei processi presso la Corte di Cassazione.

Il Regolamento delimita le competenze della Procura sia per materia che per rilevanza:

  • per materia, riguarda i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione previsti dalla Direttiva UE 2017/1371, intendendo per tali tutte le entrate e le spese e i beni coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù del bilancio dell’Unione e dei bilanci delle istituzioni, organi, Uffici e Agenzie stabiliti a norma dei trattati o dei bilanci da questi gestiti e controllati. L’IVA rientra in questo ambito essendo in parte risorsa propria dell’Unione;
  • per rilevanza, alle frodi che coinvolgono almeno due Stati membri dell’Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10.000.000 euro. L’EPPO è costruita su due livelli: il livello centrale e quello nazionale. Il livello centrale è formato dal procuratore capo europeo, due vice, e da 20 procuratori europei (uno per Stato membro partecipante), due dei quali fungono da sostituti del procuratore capo europeo e dal direttore amministrativo. Il livello centrale controlla e coordina le indagini e l’azione penale svolta a livello nazionale. Il livello decentralizzato è formato da procuratori europei delegati che operano presso gli Stati membri partecipanti15. A questo livello, la Procura opera secondo le disposizioni del diritto nazionale, utilizzando tutti gli strumenti previsti dal codice di procedura penale. Da quando l’EPPO è entrato in funzione, il 1° giugno 2021, sono state avviate circa 300 indagini a fronte di circa 1.700 rapporti di sospetta frode ricevuti da tutta l’Unione. Di recente, la Procura UE ha anche sottoscritto un’intesa con la Corte dei Conti italiana per il contrasto agli illeciti a danno degli interessi finanziari dell’Unione.

Considerazioni conclusive

Come rilevato dal Parlamento europeo, le frodi IVA hanno un impatto sul bilancio dell’UE e sui bilanci nazionali annuo stimato tra i 40 e i 60 miliardi di euro. Inoltre, le frodi IVA possono costituire un danno anche per gli operatori ecomici sia perché in alcuni casi possono portare ad una concorrenza sul fronte dei prezzi, sia per i rischi derivanti da un eventuale coinvolgimento nelle responsabilità derivanti dal mancato pagamento dell’IVA. Tuttavia, la strategia perseguita dalla Commissione, che consiste nel rafforzamento degli strumenti di indagine transfrontaliero (EPPO, OLAF e Eurojust), ha un efficacia limitata poiché tale strategia non è in grado di prevenire il compimento della frode. Anche gli strumenti relativi alla riscossione delle imposte negli Stati membri non sono efficaci in questi casi, atteso che la frode IVA (MTIC) si caratterizza proprio per la rapidità con la quale i frodatori scompaiono dopo avere realizzato l’operazione. Anche gli altri sistemi d contrasto, introdotti nella Direttiva con il c.d. QRM (Quick reaction mecanism) che consente agli Stati membri di introdurre delle misure temporanee di reverse charge interno (proprio con la finalità di evitare che i frodatori di primo livello percepiscano l’IVA dai propri clienti e non la versino all’erario) sono efficaci solo per il futuro. In conclusione, ferma restando l’utilità e l’efficacia degli strumenti introdotti e, in particolare dell’EPPO, è necessario che gli Stati membri raggiungano il consenso necessario per introdurre il sistema definitivo di applicazione dell’IVA sulle operazioni intraunionali.

Nicola Galleani d’Agliano, Professore a contratto di Diritto Tributario avanzato Università Pavia, Commercialista, Partner Studio P. Centore & Associati

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