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Lettere di intento tra vecchie e nuove sanzioni IVA: quale applicare?

Prof. Nicola Galleani d’Agliano

Iva e Dogane

Le violazioni consistenti nella mancata o ritardata comunicazione, da parte dei fornitori, delle lettere di intento ricevute dai clienti, se commesse anteriormente al 1° gennaio 2015, non sono più sanzionabili in misura proporzionale, bensì con la sanzione in misura fissa che varia da 250 a 2.000 euro. Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19738/2021, che ha affrontato l’effetto che le modifiche normative, intervenute successivamente alla data della violazione, possono avere sull’applicabilità delle sanzioni originariamente previste, in ossequio al principio del favor rei. Cominciano a presentarsi sulla scena giurisprudenziale le prime decisioni della Suprema Corte sul tema, delicatissimo, delle sanzioni per ritardata od omessa trasmissione da parte dei fornitori delle lettere di intento ricevute dai clienti. La storia normativa è nota: l’articolo 1, comma 381, della legge n. 311/2004 aveva introdotto l’obbligo per i fornitori di “comunicare all'Agenzia delle Entrate, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta”. Il quadro sanzionatorio In contemporanea, era stata prevista anche una nuova e specifica disposizione sanzionatoria, vale a dire, il comma 4-bis dell’art. 7, D.Lgs. n. 471/1997 che puniva “con la sanzione prevista [per il cessionario o committente] nel comma 3 [cioè, dal 100% al 200% dell’imposta non addebitata in fattura] il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione […] o la invia con dati incompleti o inesatti”. Così facendo, il legislatore nazionale aveva, di fatto, ridisegnato una fattispecie sanzionatoria a formazione progressiva che si attuava, rispettivamente:

  • in misura fissa per l’omessa o tardiva comunicazione della lettera di intento ricevuta e
  • in riferimento a ulteriori ed eventuali sanzioni, in misura proporzionale per ciascuna fattura emessa in assenza della comunicazione (tempestiva o tardiva che fosse).

La linea difensiva dei contribuenti

Con la circolare n. 10/E del 16 marzo 2005, l’Agenzia delle Entrate aveva precisato che, nell’ipotesi di omessa o incompleta ovvero inesatta comunicazione delle dichiarazioni d’intento e contemporanea assenza di operazioni non imponibili, non si applicava al fornitore la sanzione proporzionale (comma 4-bis cit.), bensì quella fissa (da 258 a 2.065 euro) prevista dall’art. 11, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 471/1997 per l’omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria. L’idea dell’estensore della circolare è chiarissima: se il fornitore non effettua alcuna cessione in sospensione IVA, allora, l’infrazione è qualificabile come una violazione formale perché, sul piano sostanziale, manca “l’illegittimo utilizzo del plafond”, cioè, proprio quel fenomeno evasivo che la norma sanzionatoria intende contrastare. Grazie a questo assist dell’Agenzia delle Entrate i difensori dei contribuenti, opponendosi alla pretesa sanzionatoria, hanno eccepito la non punibilità del fornitore avuto riguardo alla natura meramente formale dell’irregolarità connessa alla comunicazione. La posizione della giurisprudenza Si tratta, però, di una linea difensiva che è stata sistematicamente respinta dai giudici di merito ed ora anche dalla Cassazione, sull’assunto che costituiscono violazioni formali quelle che, pur non incidendo sulla determinazione dell'imponibile o dell'imposta, come quelle di carattere sostanziale, comportano un pregiudizio all'attività di accertamento, risultando prive di rilevanza ai fini in esame solo le violazioni meramente formali, ossia quelle che non arrecano alcun pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo previste dall'art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 472/1997 (Cass. civ., sez. V, sentenza 12 luglio 2021, n. 19738; Cass. civ., sez. V, ordinanza, 24 febbraio 2021, n. 4948). È un percorso interpretativo che si gioca tutto sul filo sottilissimo della distinzione fra le sanzioni “formali” (punibili) e meramente formali (non punibili): per la Suprema Corte, l’inadempimento del fornitore è sanzionabile in quanto ricade nella prima categoria (sanzione per irregolarità formale ma che pregiudica l’attività di controllo). Conclusione sulla quale è lecito avanzare qualche dubbio, atteso che è stato ampiamente dimostrato come la comunicazione dei dati non ha minimamente contribuito a contrastare le frodi in questo settore. Infatti, il legislatore è dovuto più volte intervenire per modificare le modalità di comunicazione e anche il relativo regime sanzionatorio.

Proporzionalità della sanzione

Ma questo continuo intervenire sugli effetti formali o sostanziali della comunicazione in parola ha distratto i giudici, che si sono mostrati totalmente disinteressati a un’altra questione fondamentale, ossia, la proporzionalità della sanzione (in argomento, si veda Corte di Giustizia UE, sentenza 15 aprile 2021, C-935/19, Grupa Warzywna, ove i giudici europei hanno dichiarato incompatibile con il principio di proporzionalità la legge IVA della Polonia che consente all’ente impositore di irrogare, in ogni caso, una sanzione fissa del 20% per l’erronea qualificazione dell’operazione da esente in imponibile). Leggi anche Per la Corte di Giustizia UE le sanzioni tributarie non vanno applicate automaticamente A questo riguardo, vi è da chiedersi se sia legittimo irrogare la medesima sanzione indipendentemente dalle conseguenze che la colpevole omissione del fornitore abbia o meno comportato per l’erario. All’interrogativo sembra aver risposto la Commissione Tributaria Regionale della Toscana che, con una recente pronuncia, ha ravvisato una manifesta sproporzione delle sanzioni che, di conseguenza, sono state ridotte nella misura del 50% in perfetta applicazione dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997.

Le ultime decisioni della CassazioneTornando alla recente giurisprudenza della Suprema Corte, è opportuno sgombrare il campo dal possibile equivoco che un superficiale confronto fra le due richiamate decisioni della Cassazione (ordinanza n. 4948/2021 e sentenza n. 19738/2021 ) potrebbe ingenerare nel lettore. Infatti, a fronte di una violazione del tutto simile (omessa o ritardata comunicazione delle lettere di intento ricevute) gli esiti processuali sono stati esattamente contrari. In uno, la Suprema Corte ha confermato la legittimità della sanzione (ordinanza n. 4848/2021), nell’altro, il giudizio davanti alla Cassazione, favorevole per il contribuente, si è chiuso con il rinvio della causa alla Commissione tributaria di secondo grado (sentenza n. 19738/2021). Ciò non dipende da un revirement del pensiero dei Supremi Giudici, ma dai diversi motivi dedotti dai difensori dei contribuenti. Infatti, soltanto in uno dei due giudizi è stata sollevata (peraltro, con memoria ex art. 380-bis, comma 1 c.p.c.) una precisa eccezione, ossia che le modifiche normative intervenute successivamente avevano modificato, a vantaggio degli operatori economici, gli obblighi e l’ammontare delle sanzioni. Pertanto, da una lettura approfondita e comparata delle due pronunce emerge che la posizione della Cassazione non solo non è mutata ma, anzi, si è addirittura rafforzata e consolidata in senso sostanzialmente favorevole al contribuente. Come applicare il principio del favor rei A riguardo, la più recente sentenza della Cassazione (n. 19738/2021) affronta l’effetto che le modifiche normative, intervenute successivamente alla data della violazione, possono avere sull’applicabilità delle sanzioni originariamente previste. In particolare, la Suprema Corte esamina compiutamente l'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 che ha introdotto, in materia sanzionatoria tributaria, il generale principio del favor rei di origine penalistica, prevedendo al comma 2 che “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”: inoltre, al successivo comma 3, la medesima disposizione stabilisce che “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole”. Le due ipotesi vanno ben distinte. Nel primo caso, l’adempimento originariamente previsto dalla legge è stato in seguito soppresso, mentre nella seconda ipotesi l’adempimento sussiste sempre ma vi è stata una mitigazione delle sanzioni applicabili. A questo punto, occorre domandarsi in quale fattispecie possa collocarsi l’omissione o il ritardo nell’esecuzione dell’obbligo di trasmettere all’Agenzia delle Entrate le lettere di intento ricevute dai clienti. Per rispondere al quesito, osserva la Cassazione, è necessario valutare se la "nuova" fattispecie prosegua in continuità rispetto al passato (rendendo irrilevante o legittima la pregressa condotta) ovvero se le modifiche non ne abbiano mutato il disvalore sì da lasciare inalterata la punibilità della condotta, salva, in ipotesi, l'applicazione del diverso (e più favorevole) regime sanzionatorio. Scendendo in profondità nell’analisi, è importante rimarcare che, in origine, il fornitore aveva l’obbligo di trasmettere i dati delle lettere di intento ricevute dal cliente. In seguito, ossia, nel 2014, tale obbligo è stato trasferito in capo al cliente, il quale prima di poter attivare la procedura di acquisto in sospensione IVA deve trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle operazioni che intende realizzare. Permane, comunque, l’obbligo per il fornitore di verificare sul sito dell’Agenzia che il cliente abbia correttamente effettuato le comunicazioni. Da quanto sopra, è agevole concludere che l’obbligo di comunicazione non è stato abolito ma traslato da un soggetto ad un altro. Quid iuris, allora, la traslazione dell’obbligo ha un effetto abrogativo del fatto punibile in capo al fornitore? La Cassazione ritiene che tra le diverse modalità di comunicazione che si sono succedute nel tempo sussiste un rapporto di continenza, “[co]sì da escludere che, nel caso in esame, lo jus superveniens abbia determinato un fenomeno abrogativo della normativa originaria e, in applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, la non punibilità del fatto”. D’altronde, puntualizza la Suprema Corte, “l'originario elemento materiale dell'illecito richiedeva una condotta caratterizzata dallo svolgimento di adempimenti più ampi rispetto a quelli previsti dalla fattispecie attualmente in vigore: prima era l'omissione globalmente considerata a costituire la condotta materiale; adesso sono le specifiche operazioni ancora addossate al medesimo soggetto passivo (ma incluse nell'insieme di quelle già prima oggetto di considerazione) ad integrare l'elemento costitutivo dell'illecito”.

Ne consegue, quale immediato e inevitabile corollario, che le violazioni consistenti nella mancata o ritardata comunicazione delle lettere di intento da parte del fornitore, se commesse anteriormente al 1° gennaio 2015, non sono più sanzionabili in misura proporzionale, bensì con la sanzione in misura fissa che varia da 250 a 2.000 euro.

Nicola Galleani d’Agliano, Professore a contratto di Diritto Tributario avanzato Università Pavia, Commercialista, Partner Studio P. Centore & Associati

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