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I termini decadenziali per l’accertamento fiscale.

Avv. Daniele Vitiello

Imposte dirette

I termini decadenziali per l’accertamento fiscale.

Le certezze degli ufficio, le incertezze del contribuente.

Premesse. Norberto Bobbio, nel 1951, insegnava che “la certezza del diritto è un elemento intrinseco del diritto, si che il diritto è certo o non è neppure diritto”. Il ragionamento filosofico di Bobbio era molto più complesso dei confini dentro i quali lo condurrò, ma la certezza del diritto consiste anche nel diritto per così dire all’oblio, il diritto a far sì che decorso un determinato periodo di tempo uno specifico atto o fatto non possa essere più oggetto di contestazione, quindi non possa essere più esercitato un potere per contestarlo. E se l’obbligazione è già sorta e un credito è già sorto in forza di quell’atto o di quel fatto, con il decorso del tempo quel credito deve considerarsi prescritto. Quindi il decorso del tempo è fondamentale per rendere certo un diritto. In tale contesto, capo saldo era l’art. 43 del DPR 600/73 che disciplina i termini di decadenza entro i quali gli uffici potevano emettere gli atti impositivi e più specificatamente gli avvisi di accertamento. La norma, prima della sua recente modifica, prevedeva il termine del 31 dicembre del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero nel caso di omessa presentazione il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata. Questi termini sono stati superati non soltanto dal legislatore con plurimi interventi ma anche dalla giurisprudenza, la quale con tutta una serie di pronunce ha dilatato nel tempo il potere degli uffici impositori di contestare un determinato atto o fatto. Ne è derivato un quadro normativo complesso ed incerto nel quale il 31 dicembre non rappresenta più un confine temporale invalicabile.


Interventi legislativi.

Prima di addentrarci nel più complesso esame delle posizioni giurisprudenziali, mi pare opportuno ricordare lo scenario normativo di riferimento prendendo l’annualità d’imposta 2016 come spartiacque tra vecchie disposizioni e nuove disposizioni. La legge di stabilità del 2016 (Legge 208/2015) ha, infatti, riscritto l’art. 43 del DPR 600/73 prevedendo i termini ordinari per l’accertamento ed individuandoli nel 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Mentre nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l'avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Per le annualità anteriori al 2016, la normativa è molto più complessa dovendosi distinguere tra termini ordinari o brevi (31 dicembre del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero nel caso di omessa presentazione il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata) e termini lunghi legati alle contestazioni in cui si insta una ipotesi di reato tributario, nel quale caso è previsto quello che è stato definito “raddoppio dei termini” ma che i giudici costituzionali (sentenza 247/2011) hanno qualificato come termine geneticamente lungo (escludendo sul nascere le complicazioni che potevano originarsi nel qualificare la disposizione normativa quale proroga di termini). Nell’alveo dei termini “raddoppiati”, bisogna ulteriormente tenere a mente la data del 2 settembre 2015, in quanto, per gli atti impositivi notificati prima di tale data, il raddoppio opera anche se la denuncia di notizia di reato è trasmessa oltre il termine ordinario di decadenza, mentre per gli accertamenti notificati dopo il 2 settembre 2015, il raddoppio opera solo se la denuncia sia stata trasmessa prima del decorso del termine ordinario di decadenza. Tralasciando volontariamente i termini per l’emissione degli atti di recupero crediti d’imposta e il raddoppio del termine per gli accertamenti relativi alla presunzione di evasione per le attività e gli investimenti in paesi a fiscalità privilegiata – i quali meriterebbero apposita narrazione e riflessione -, a questo quadro bisogna aggiungere che i termini per l’accertamento, come appena delineati, soffrono di ulteriori disorganici interventi che ne determinano una proroga o una riduzione. Mi riferisco al D.L. 119/2018, relativo alla c.d. pace fiscale, il quale ha disposto una proroga dei termini di accertamento di due anni per le annualità d’imposta oggetto di PVC consegnati entro il 24 ottobre 2018, per i quali non era ancora stato emesso alcun avviso di accertamento. Mi riferisco, altresì, ai D.L. 18/2020 e 34/2020, i quali hanno previsto ulteriori disorganiche proroghe dei termini per fronteggiare l’emergenza epidemica. Vi sono, poi, tutta una serie di istituti premiali che riducono i termini di decadenza: 1) riduzione di un anno per l’affidabilità fiscale al risultato ISA (art. 9 bis c. 11 DL 50/2017); 2) riduzione di un anno per i contribuenti forfettari che hanno un fatturato costituito solo da fatture elettroniche (art. 1 c. 74 L. 190/2014); 3) riduzione di due anni quale incentivo alla tracciabilità dei pagamenti (art. 3 D. Lgs. 127/2015). Alla luce di tanto, calcolare il 31 dicembre dell'anno in cui “scade” il potere di accertamento dell’ufficio più che un labirinto, rappresenta un vero e proprio rebus. Ma ancora il percorso ricostruttivo non è concluso, in quanto il 31 dicembre non rappresenta più neppure una data affidabile, poiché l’art. 5 comma 3 bis del D. Lgs. 218/1997 prevede che “qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lettera b), e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga al termine ordinario”, per cui, considerato il termine “a giorni” prescelto dal legislatore, il termine ultimissimo potrebbe scadere il 30 aprile o il 29 aprile, se anno bisestile, di un anno indefinito.


Le perplessità.

Ricostruito il complesso panorama normativo che ruota attorno alla normativa che definisce i termini di decadenza dell'attività impositiva, va aggiunto che ognuno, poi, di questi interventi legislativi genera profili interpretativi, alcuni dei quali ancora da affrontare. Vorrei evidenziarne qualcuno. Con riferimento al regime premiale ISA, vorrei sottolineare come – a mio avviso – la disciplina sia incostituzionale nella parte in cui la norma affida ad un provvedimento del direttore dell'agenzia delle entrate di individuare, sulla scorta del voto attribuito dagli indici, i contribuenti a cui spetta la riduzione di un anno; in altri termini, una delle parti processuali stabilisce il termine di decadenza per l'accertamento.


Altra ipotesi che desta perplessità, riguarda l’art. 5 coma 3 bis del D. Lgs. 218/1997, il quale, come anticipato, prevede una proroga di 120 giorni dell’ordinario termine di accertamento qualora tra la data fissata per la comparizione per definire l’accertamento con adesione e quella di decadenza intercorrano meno di 90 giorni. Il citato comma 3 bis all'art. 5 è stato inserito dal D.L. 34/2019, lo stesso decreto legge che ha inserito il successivo art. 5 ter prevede che “L'ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire di cui all'articolo 5 per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento”. Ci si pone, quindi, il problema del termine di decadenza nell’ipotesi in cui, pur non sussistendo l’obbligo all’invito a comparire in quanto era stato già rilasciato PVC, l’ufficio inviti comunque il contribuente ad un contraddittorio preventivo fissando la data di comparizione in un momento che non consenta il rispetto dei 90 giorni di cui all’art. 5. In altri termini, posto che l’obbligo all’invito di cui all’art. 5 ter citato non sussiste allorquando sia stato rilasciato PVC, ci si chiede se, laddove l’ufficio provveda comunque all’invito fissando la comparizione così da non avere i 90 giorni dalla decadenza del potere impositivo, sia legittima la proroga dei 120 giorni. La collocazione normativa porta ad evidenziare come il legislatore abbia ritenuto di inserire la proroga di 120 giorni, non nell'art. 5 ter D. Lgs. 218/97 che prevede l'obbligatorietà dell'invito, ma all'art. 5 che disciplina più in generale l'accertamento con adesione. Paradossalmente, sebbene l'esigenza della proroga di 120 giorni del termine decadenziale, appare dettata dalla necessità che l'obbligatorietà dell'invito con comporti all'Ufficio un contrazione dei termini per la notifica dell'avviso di accertamento, la sua collocazione sistemica, pare estenderla a tutte le ipotesi in cui l'ufficio invita all'accertamento con adesione e non solo all'ipotesi in cui la stessa sia obbligatoria. A mio avviso, però, la proroga non sarebbe legittima, in quanto si tratterebbe di una lettura forzata della norma e della sua ratio, in dispregio di valori ed interessi costituzionalmente protetti, quali la certezza dei rapporti giuridici, il diritto di difesa dei contribuente, il legittimo affidamento, il buon andamento della PPAA, nonché un abuso del diritto in senso lato, oltre che la palese violazione dell’art. 3 della L. 212/2000, per scelta non legislativa ma discrezionale dell'ufficio impositore. Tuttavia, i recenti interventi giurisprudenziali tendenti a tutelare l'interesse erariale rispetto alla certezza dei diritti, non elimina ogni perplessità.


Altra ipotesi controversa, attiene la legittimità del raddoppio dei termini per l’accertamento in capo al socio di società di persone, o di capitali (nel caso di distribuzione di utili extra-contabili), per fattispecie penalmente rilevanti poste in essere dalla società o meglio dall’amministratore della società. Ritengo che l'aver ipotizzato l'esistenza di una fattispecie penalmente rilevante diversa (come ad esempio quella di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti) in capo ad un soggetto estraneo allo stesso illecito penale (il socio) non può legittimare il raddoppio del termine per l'emissione di un accertamento fondato su elementi diversi da quelli penalmente rilevanti. Sul punto tanto la giurisprudenza (Cass, 26068/2015) quanto la prassi (GDF circolare 1/2018 pag. 2018) sembrano orientarsi per l'esclusione, anche se la posizione della Cassazione sembrerebbe lasciare spazio al raddoppio laddove il fatto penalmente rilevante veda il coinvolgimento del socio. Per cui, per la Cassazione, nell'ipotesi in cui dalla notizia di reato emerga il coinvolgimento del socio, sarebbe legittimo il raddoppio dei termini per l'emissione dell'avviso di accertamento in capo al socio degli utili distribuiti, anche se la dichiarazione del socio non sia direttamente interessata da atti e fatti penalmente rilevanti. Il corto circuito che si viene a creare è paradossale: il socio dovrebbe eccepire l'intervenuta decadenza dimostrando di non essere “coinvolto” nella vicenda delittuosa, per cui il giudice vagliato il coinvolgimento del socio dovrebbe pronunciarsi sulla decadenza.


Risulta evidente come il panorama complessivo dei termini decadenziali sia tutt'altro che certo e determina, di riflesso, altre rilevanti conseguenze sotto un profilo sistematico. Si pensi alla dichiarazione integrativa, ex art. 2 c. 8 del DPR 322/1998, presentabile dal contribuente entro il termine di decadenza del potere di accertamento dell'ufficio. Delimitare ed individuare il termine di decadenza dell'ufficio diviene fondamentale anche per individuare il termine ultimo per esercitare il diritto all'integrazione della dichiarazione.


Interventi giurisprudenziali.

Se questo è il complesso e farraginoso quadro normativo di riferimento, la giurisprudenza non si esime dal renderne ancora più complessa e farraginosa la lettura e nel dilatare sine die i termini di decadenza. Il riferimento è necessariamente all'ultimo intervento a SSUU (sentenza n. 8500/2021) che ha riguardato il termine ultimo di decadenza dal potere di accertamento dei componenti pluriennali. Prima di addentrarsi su una valutazione di merito e sulle importanti implicazioni pratiche di questa recente pronuncia, vorrei attenzionare la riflessione su una sentenza apparentemente estranea all'argomento, poiché attiene la materia fallimentare, ma che potrebbe avere risvolti argomentativi sotto un profilo sistematico. Il riferimento è alla sentenza n. 8602 della sesta sezione della Cassazione depositata il 26 marzo 2021 (quasi in contemporanea con quella delle SSUU del 25 marzo 2021), con cui la Suprema Corte afferma che “i crediti tributari nascono ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti, non per effetto dell'atto amministrativo di accertamento, né tantomeno per l'atto di iscrizione a ruolo; … occorre tenere conto dell'elemento genetico dell'obbligazione sul piano sostanziale finanche alla stregua dell'art. 1173 cod. civ.”. Il momento genetico dell'obbligazione tributaria, quindi, per la citata giurisprudenza di legittimità, coincide con l'atto o il fatto generatore del presupposto impositivo ed espressivo di capacità giuridica e non con l'avviso di accertamento, né con l'iscrizione a ruolo, né con la dichiarazione dei redditi. In termini ancora più pratici l'obbligazione tributaria sorge nel momento in cui il contribuente pone in essere quell'atto o quel fatto cui la legge ricollega il presupposto impositivo. Tenendo bene a mente tale momento generatore, si legga il principio di diritto espresso dalle SSUU: “nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall'errato computo del singolo rateo e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell'amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata … in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo d'imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio”.
Tradotto in termini più pratici, il Fisco potrà contestare il presupposto impositivo non nell'anno in cui è geneticamente sorto, ma per ogni anno nel quale il componente reddituale è contabilmente ripartito, dovendosi ancorare il termine di decadenza alla dichiarazione dei redditi nella quale è riportato il rateo. La pronuncia è devastante, in quanto investe non solo i rapporti tra contribuente e fisco, ma anche le parti private, e riguarda una pluralità di componenti pluriennali: dalle perdite, alle quote di ammortamento, alla sopravvenienze attive rateizzabili, ai crediti d'imposta. E per meglio percepirne la dinamica, si pensi ad un ammortamento di 33 anni di un bene immobile, che per effetto della citata decisione potrebbe essere oggetto di accertamento il 31 dicembre del 5° anno successivo del 33° anno ovvero dopo quasi 40 anni dall'entrata in funzione ed in contabilità del bene. Quaranta anni sono aziendalisticamente e commercialmente un'eternità. Della lunga motivazione delle SSUU, che palesa la volontà di rendere giuridicamente giustificabile una interpretazione difficilmente accettabile, due passaggi argomentativi appaiono particolarmente interessanti. La prima conclusione della Corte è che gli elementi pluriennali incidono sulla annualità dell'obbligazione d'imposta in quanto il risultato reddituale di ogni periodo costituisce l'oggetto dell'obbligazione tributaria, prescindendo dal fatto generatore del componente stesso, e richiama a tal proposito l'art. 7 del TUIR. La seconda conclusione della Corte è che il contribuente non possa realisticamente trarre alcun convincimento tutelabile circa la correttezza del proprio operato e la legittimità della sua reiterazione nelle dichiarazioni successive … dalla mera inerzia dell'amministrazione che sia incorsa in decadenza nell'accertare la dichiarazione di prima deduzione dell'elemento pluriennale”. Orbene, la prima conclusione si scontra immediatamente con la coetanea sentenza in materia fallimentare, in quanto per le SSUU l'obbligazione tributaria non nasce ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti ma con la dichiarazione dei redditi – o comunque nell'annualità d'imposta - in cui è riportato un “segmento contabile” (De Mita) del presupposto impositivo. Ma quel segmento, in realtà, non attiene più all'accertamento, ma all'esecuzione contabile di un presupposto definitivamente acquisito” (De Mita) e per questo non dovrebbe essere più modificabile.
La seconda conclusione rappresenta lo scontro tra titani, interesse erariale contro certezza del diritto, in cui il valore costituzionale della certezza del diritto che la stessa Corte ricollega agli artt. 3, 23 e 53 Cost. ne esce sconfitto per tutelare l'inerzia degli uffici. Il contribuente, in altri termini, vede minato un diritto ed un valore, per tutelare l'inefficienza della PPAA.
Nel terzo millennio, in cui l'intelligenza artificiale e la banche dati consentirebbero al fisco di “notare” immediatamente la prima iscrizione in bilancio di una componente pluriennale e quindi di verificarne con prontezza la legittimità e fondatezza, si tollera la mera inerzia, anzi la si tutela. Le conseguenze della pronuncia sono rilevanti e riguardano anche diritti apparentemente acquisiti e rapporti tra privati. Si pensi ad un acquisto di azienda: sarà necessario porre attenzione sulle componenti pluriennali, acquisendo la documentazione in possesso del cedente. Si pensi agli effetti penali, oltre che tributari, che potrebbero derivare da una cieca applicazione della pronuncia delle SSUU, nell'ipotesi in cui il contribuente non detenga più la documentazione relativa a distanza di tanti e tanti anni. Il costo sarà considerato inesistente? E se l'ammontare del rateo determina il superamento della soglia di rilevanza penale per le violazioni tributarie? Le perplessità sono tante anche perchè il principio espresso vale anche sui rapporti non esauriti. L'acquisto di un capannone industriale nel 2000, riverbera effetti ancora nel rateo dell'odierno anno d'imposta, per cui l'odierno acquirente d'azienda dovrà scrupolosamente verificare il supporto probatorio.


In sincerità, la pronuncia delle SSUU non sorprende più di tanto se si consideri che le stesse SSUU, con la sentenza n. 5069/2016, avevano risolto il contrasto sorto in tema di rimborsi di crediti di imposta fra i due pregressi orientamenti:

  • il primo che riteneva che il decorso del termine di decadenza del potere di controllo determina il consolidamento del credito richiesto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, talchè l'esposizione nelle dichiarazioni degli anni successivi è un mero riporto di un diritto già consolidato; - il secondo che ritiene che il credito esposto in dichiarazione non si consolida con lo spirare del termine entro cui l'amministrazione finanziaria può esercitare il potere di accertamento. Anche in quel caso è stata premiata l'inerzia degli uffici, disconoscendo qualsiasi valore al momento genetico del presupposto impositivo. Ritornando alla sentenza relativa alla materia fallimentare, se come affermato dalla Corte in quella pronuncia “i crediti tributari nascono ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti, non per effetto dell'atto amministrativo di accertamento, né tantomeno per l'atto di iscrizione a ruolo”, il momento genetico dell'obbligazione tributaria è necessariamente collegato al presupposto d'imposta, il quale non coincide con l'anno d'imposta in cui è esposto il risultato reddituale. Il presupposto impositivo sorge in un determinato tempo. Le regole civilistiche e fiscali, solo successivamente al suo sorgere, impongono di attribuirne rilevanza reddituale nella base imponibile di un determinato anno d'imposta. Per cui è con il decorso del tempo da quel momento generatore che il diritto deve ritenersi consolidato, in quanto i meri riporti contabili o dichiarativi negli anni successivi non posso più essere oggetto di contestazione in quanto segmento di un diritto consolidato. Volendo trarre delle conclusioni, ritengo necessario, in questo clima di riforma post-pandemico, rivedere realmente tutti i termini di decadenza prevedendo regole omogenee e termini certi per tutte le parti dell'obbligazione tributaria ricordando che “la certezza del diritto è un elemento intrinseco del diritto, si che il diritto è certo o non è neppure diritto” e affrontando nei modi più opportuni l'inerzia degli uffici, anziché alimentarne l'inefficienza.

Avv. Daniele Vitello, Avvocato Tributarista Cassazionista, Presidente Cat Agrigento

26.05.2021

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